LE INSTALLAZIONI A PALAZZO MANDAMENTALE

Bonomi ha disposto le proprie Culture nella Corte del Palazzo Mandamentale il cui ingresso sarà abbellito da un suo Roseto che si dipana lungo le pareti dell’androne. Sono opere, parte di un ciclo iniziato nel 1992, che riproducono piante e fiori costruite con gli oggetti da giardinaggio, sottovasi, vasi, canne da irrigazione, innaffiatoi. In questa fantasticheria ciò che serve alla cura delle piante diventa pianta essa stessa, o qualcosa che alla nostra mente sembra appartenere al mondo vegetale.

E il titolo generale “Culture” sottolinea come l’ambivalenza del termine si rifletta (tautologicamente) nell’opera ma anche la spieghi. Abbiamo di fronte il risultato sintetico di una “cultura” intesa come coltivazione ma anche come attività intellettuale e quindi cura delle idee e del pensiero.

Anche i Roseti (un’altra versione è visibile nel portico della Chiesa di Santa Marta) sono Culture e, concettualmente possono essere considerati come la versione “modulare” di altre opere pensate come singole rose a stelo lungo, alcune delle quali intitolate Se son rose sfioriranno. Titolo che ci fa subito capire che questi fiori essendo di plastica, come tutte le Culture, non sfioriranno mai e quindi non sono rose, pur assomigliandoci.

L’inganno percettivo-cognitivo si dimostra uno dei punti nodali della poetica di Bonomi che vuole mostrarci la realtà, che quotidianamente pretendiamo di possedere con le sole parole, per quello che è o meglio, non è.

Da un rialzo della corte guardano queste piantumazioni due coloratissimi personaggi plasmati da Cella che hanno nome Archetipi del disagio e Harvey. Una figura dalle s-proporzioni umane vicino a una dalle fattezze di coniglio citazioni dell’omonimo film, tratto da una commedia degli anni Cinquanta, che racconta delle vicissitudini del ricco gran bevitore Elwood, interpretato magistralmente da James Stewart, e dell’amico immaginario “Harvey”, un grande coniglio bianco che lo accompagna in ogni situazione ma che, ovviamente, solo lui può vedere. Il disagio psichico-esistenziale è un po’ il tema che attraversa il film, trattato con una certa “leggera” grazia nonostante la sua essenza dolorosa. Ma quello del disagio è anche il trait-d’union che collega l’artista alle sue opere: non ne è il soggetto ma ciò che le fa esistere e le impregna come esempio di un atteggiamento in essere in risposta un’esistenza umana spesso complicata e capace di fare sentire chiunque inadatto alla vita.

Fabrizio Parachini